Tuesday 22 February 2011

Lunedi di merda / Shitty Monday

(For the English version, please scroll down)
Le parolacce non mi sono mai piaciute molto. A volte possono tornare utili, e’ vero, ma sono convinto che molti sentimenti, anche viscerali, possano essere espressi senza ricorrere alle volgarita’. In realta’ sto dicendo questo per mettere le mani avanti perche’ ci sono dei giorni in cui anch’io non posso resistere al bisogno impellente di gridare “che giornata di merda!”.
Ultimamente questa espressione colorita mi viene in mente soprattutto quando mi ritrovo a insegnare per cinque ore consecutive (55’ x 5, con 5 inutili minuti di pausa fra una lezione e l’altra). In genere queste mini maratone mi capitano il sabato mattina (la famosa ciliegina sulla torta), dalle 9:00 alle 14:00, e alla fine sono cosi stanco che quando torno a casa perdo coscienza e crollo sul parquet come un sacco di patate – per la gioia di mia moglie, che vorrebbe magari uscire a fare una passeggiata, e dei miei figli che vorrebbero giocare con il papa’ assente. (In Giappone esiste anche un’espressione per questi mariti/padri inutili: sodai gomi, che letteralmente significa “rifiuti di grandi dimensioni”).
Quando pero’ le cinque lezioni mi capitano a sorpresa - come un’imboscata - il lunedi mattina, allora metto da parte ogni remora linguistico-etica e urlo a squarciagola CHE GIORNATA DI MERDA, perche’ no, non si puo’ cominciare cosi la settimana.
Fortunatamente i miei studenti devono avere un sesto senso. Cosi il buon Satoshi, che spesso si dimentica di venire a scuola, si e’ alzato tardi e si e’ presentato alla lezione delle 9:00 con mezz’ora di ritardo. E’ inutile dire che Satoshi e’ uno dei miei studenti preferiti. Poi, alle 11:00 Ryosuke ha cancellato la sua. Vi prego di notare che Satoshi e Ryosuke sono due uomini (vabbe’ non esageriamo; due sbarbatelli di una ventina d’anni). Questa e’ cio’ che io chiamo “solidarieta’ maschile”. Mai che le mie studentesse mancassero una lezione!

I’ve never liked swearing. It’s true sometimes dirty words come handy, but I believe that feelings – even visceral responses – can be expressed without resorting to vulgarity. Actually I’m playing it safe here, because there are days when I can’t resist the urge to say “what a shitty day!”
Lately this colourful expression comes to mind every time I have to teach five hours in a row (55’ x 5, with 5 useless minutes of break in between). These mini marathons usually come on Saturdays (the famous icing on the cake), 9:00 to 14:00, and when I’m done I’m so tired that I go home, collapse on the wooden floor like a sack full of potatoes and pass out. You can imagine how pleased my Boss (who wants to go out for a walk) and the Center-Forward (who can’t wait to play with their absent dad) can be. (In Japan there is a name for these useless husbands/dads: sodai gomi, literally meaning “oversize garbage”).
But when the damned five lessons take me by surprise - like in an ambush - on Monday morning, that’s when I put any objection aside and shout at the top of my lungs WHAT A BLOODY FUCKING DAY, because no, you can’t start your week like this.
Luckily enough my students must have a sixth sense: Good old Satoshi, who often forgets his lessons, today overslept and came to his 9:00 class 30 minutes late. Then, at 11:00, Ryosuke called to cancel his lesson. Please note that both Satoshi and Ryosuke are men (okay, let’s not exaggerate; let’s say 20-something greenhorns). This is what I call “male solidarity.” My female students never miss a lesson!

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